lunedì 7 gennaio 2008

Ciclista in Norvegia


il ciclista urbano, quello che usa la bici come mezzo di tasporto e non solo come giocattolo, ha sempre esperienze interessanti da narrare, come questa, tratta da un libro di un autore norvegese, Ender Loe, "Doppler vita con l'alce", edito da IPERBOREA:


« [...] Mio padre era appena morto e sepolto, mia madre, le mie sorelle e io avevamo sistemato tutte le incombenze pratiche e io ero uscito in bicicletta. Era primavera. Ed era una gioia andare di nuovo in bicicletta nel bosco dopo il lungo inverno. Io naturalmente vado in bici tutto l'anno. Da casa al lavoro e ritorno. Sono un ciclista. Forse sono soprattutto un ciclista. Non c'è stato delle strade che possa fermarmi. D'inverno uso le gomme chiodate. Il casco. Guanti da bici. Pantaloni e giacche modificati apposta. Computer da bici. Luci. Faccio quattromila chilometri in bicicletta all'anno. E non ci penso due volte a rompere i tergicristalli delle macchine che si comportano male. Do una botta sul cofano. Picchio sul finestrino. Grido fino a farmi venire la voce roca e non mi spavento quando gli automobilisti si fermano per prendersela con me. Litigo fino allo sfinimento, difendendo a spada tratta i miei diritti di ciclista. E vado a razzo. Molto più a razzo delle automobili. Il momento migliore è negli imbottigliamenti del mattino. Per esempio giù per la Sognsveien, oltre il quartiere di Adamstuen e fino a Thereses gate e Pilestredet. Ci sono un sacco di macchine e spesso anche dei tram. Il tram ferma giusto in mezzo a Thereses gate e, dato che arrivano sempre delle auto nell'altra direzione, devono aspettare, mentre io salto sul marciapiede, pedalo mantenendo bene la destra rispetto a quelli che salgono sul tram, mi fiondo in strada con ancora quattro-cinque metri di vantaggio sul tram e un buon anticipo sulla sua partenza. Proprio li il marciapiede è un po' più alto del normale e leggermente risalente, così posso prendere lo slancio e atterrare su tutt'e due le mote insieme esattamente in mezzo ai binari. Mi riesce da dio, ma non ne faccio una gran scena. Chi lo deve vedere, lo vede. Magari ispira qualcuno a prendersi una bicicletta. Il solo pensiero è già una ricompensa. Lo porto con me per il resto della giornata pedalando verso l'ostacolo successivo, che è la rotonda di Bislet, altro punto dove ho sviluppato una tecnica spettacolare che gli autisti di professione non apprezzano affatto e che forse in effetti non è proprio dalla parte giusta della legge. Ma un ciclista è costretto a diventare un fuorilegge. E costretto a vivere fuori dalla società e in rotta con il sistema stabilito di viabilità che sempre più incoraggia esclusivamente la circolazione motorizzata, anche per le persone di sana costituzione. I ciclisti sono degli oppressi. Siamo una minoranza silenziosa, i nostri territori di caccia sono sempre più ristretti e siamo forzati a comportamenti che non ci si addicono, non possiamo parlare la nostra lingua, ci obbligano alla clandestinità. Ma state in guardia, perché l'ingiustizia è talmente palese che nessuno deve stupirsi se accumuliamo rabbia e aggressività, e un bel giorno, quando i non-ciclisti saranno così grassi da riuscire a stento a rotolare dentro e fuori dalle loro auto, noi ciclisti ci prenderemo la nostra rivincita con ogni mezzo. Sono un ciclista. E un marito e un padre e un figlio e un dipendente. E il proprietario di una casa. E legioni di altro. Si è così tante cose. Dunque, me ne andavo in giro in bicicletta. In primavera. E a un certo punto sono caduto. In modo piuttosto rovinoso. D'altra parte, si sa, nel bosco si va forte. E i margini di manovra sono spesso ridotti. Avevo deviato da una specie di sentiero e pedalavo nella brughiera, diretto verso una discesa ripida, quando la ruota davanti si è bloccata di colpo tra due pietre. Ho fatto un volo sopra al manubrio andando a sbattere col fianco contro una radice e per finire mi è arrivata la bici sulla fronte. Sono rimasto KO. All'inizio faceva un male cane. Non riuscivo a muovermi. [...]»

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